La morte dell’Io da isolamento Covid19

L’esperienza dell’isolamento imposto dalle procedure istituzionali per la difesa dalla ‘peste’ del 2020 e cioè dal covid19, può essere considerata e vissuta come la morte dell’Io dal punto di vista psicologico? Come viene tradotta tale morte dal punto di vista neurobiologico ?

Lo spaseamento

La mancata soddisfazione delle abitudini, immancabile a causa di un isolamento così lungo e drastico, delle routine quotidiane, lascia ampi spazi vuoti, opponendo al soggetto parti di sé sconosciute e che l’Io pensava di aver sotto controllo in modo indefinito.

Si interrompe così il tempo della ripetizione, il tempo della linearità, si rompe la rete di tutto ciò che costituisce la ‘consistenza dell’Io’.

Da un tempo della ripetizione si passa al tempo della crisi, al tempo della precarietà, caratterizzato da una fase di spaesamento dove tutto il rimosso diventa visibile, dove si è costretti ad abbandonare il linguaggio della rappresentazione, si apre la porta di un ‘sotterrato’ da cui l’Io scopre di dipendersi da sempre.

Ciò che ‘perturba’ è il ritorno della rimozione, tutto ciò che ci appartiene e che si pensava non potesse ritornare, ciò che Nietzsche definiva la ‘maledizione’ del ‘così fu’ ritrova nuova energia nel turbamento più profondo.

Lo squarcio innescato nella rete delle abitudini, quindi, rappresenta un’uscita dall’ordine secondo cui viene organizzato una rappresentazione del mondo, che invece era vissuto come un riflesso, immagine fedele di esso.

La gratificazione delle abitudini

Dal punto neurobiologico, il tempo della ripetizione si traduce in una vita di abitudini a cui il nostro cervello si accomoda e difficilmente e faticosamente se ne distacca. Infatti, il cervello ha più facilità nell’imparare che nel disimparare.

Le modifiche richiedono al cervello un gran dispendio di energia, soprattutto nell’età adulta (questo potrebbe spiegare la maggiore fluidità con cui i più giovani si sono adattati all’isolamento) in quanto impone una maggiore attivazione del pensiero che prevede un massimo dispendio di energia e una grande esposizione al rischio.

Il cervello trasforma tutto in abitudini, gratificandoci per tali comportamenti attraverso il rilascio di sostanze oppioidi, da cui poi diventiamo dipendenti.

Quando impariamo qualcosa per la prima volta, l’informazione viene salvata nella corteccia cerebrale, dopo averla ripetuta varie volte, l’azione imparata diventa routine.

Le informazioni passano quindi ai gangli della base, proprio alla base degli emisferi cerebrali, dove vengono salvate come processi fissi e non possono essere più cancellate.

Sostituire una vecchia abitudine con una nuova è dunque estremamente difficile.

La soluzione creativa da isolamento

Il punto di vita prettamente psicologico e quello neurobiologico trovano una soluzione in ciò che  Freud, riteneva indispensabile nella fase dello spaesamento e cioè la necessita di un nuovo linguaggio;

un linguaggio che viene costruito attraverso il ricorso alla creatività più sfrenata;

un linguaggio che parli di una nuova realtà, di questa realtà, di questo tempo.

Freud parlò della necessità di mettere in campo ‘uno strano tipo di trascrizione’ che permettesse di superare i limiti del linguaggio scientifico e teorico, ricorrendo alla letteratura e alle arti.

L’unica strada, in tal senso, per superare lo spaesamento e innescare una rottura completa col il tempo lineare sia ricorrere alla creatività per la trasformazione dei meccanismi abitudinari affinché si riesca a parlare davvero di un nuovo tempo.

La trasgressione che il sé permette a discapito di un ‘Io’ ormai obsoleto, in tal caso ‘morto’, ci pone di fronte alla richiesta di nuove soluzioni, di nuove prospettive dove il tempo della ciclicità viene sostituito dal tempo  della precarietà.

Tale precarietà è intesa nel suo continuo divenire, dove c’è coscienza maggiore ‘del tutto può accadere’ e dove il pensiero è chiamato a cogliere la volatilità del divenire senza cedere alla tentazione di volersi appropriare della sua verità.

L’unica temporalità possibile è quel divenire che noi stessi siamo e che la coscienza qualifica come tempo. L’unico tempo possibile è quello della coscienza derivante dalla temporalità del nostro continuo divenire.

Lago salato o rosa di Shiraz, rappresenta l'aridità, la morte dell'Io, l'isolamento con crepe che richiamano elementi disturbanti come la rottura del tempo lineare, come il ritorno di elementi rimossi
Il lago rosa o lago salato, Shiraz – Iran

https://books.google.it/books?id=8naiDwAAQBAJ&pg=PA186&lpg=PA186&dq=abitudini+morte++e+spaesamento&source=bl&ots=vL1bfvB2_R&sig=ACfU3U1KbwrQov9QgCoQqdxpahtAKGMHHQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwixhKP7i5PpAhWM_aQKHRr3DEAQ6AEwAXoECAoQAQ#v=onepage&q=abitudini%20morte%20dell’io%20e%20spaesamento&f=false

https://www.roxmind.com/wp-admin/post.php?post=115&action=edit

Fermo lì….

Quando sei sottoposto ad un processo che non capisci, ad un flusso che non ti appartiene e non sai cosa fare, datti il permesso di non far nulla….aspetta. Sarà il tempo a guidarti e illuminarti per il giusto percorso….ndr

Jung: Individuazione

“Il sé è la meta della vita, perché è la più perfetta espressione della combinazione fatale che si chiama individuo… Quando si riesce a sentire il Sè come irrazionale, come un ente indefinibile, al quale l’Io non è né contrapposto né sottoposto ma pertinente, e intorno al quale esso ruota come la terra intorno al sole, allora la meta dell’individuazione è raggiunta”. In ogni uomo prende vita un “dramma interiore” del percorso trasformativo che lo porta alla necessaria meta dell’individuazione. I processi iniziatici di questo processo possono rintracciarsi nel passaggio dalla produzione di fantasie relative la sfera personale alla produzione di fantasie pertinenti alla sfera interpersonale, entrambe tendono ad una meta. Il passaggio successivo è caratterizzato dall’integrazione dell’Anima (uomo) e Animus (donna). Tale passaggio è fondamentale per l’uomo, in quanto oltre a poter distinguere ciò che egli è e il modo in cui appare agli altri, ma anche divenire consapevole del suo invisibile sistema di relazione con l’ inconscio e quindi differenziarsi dall’Anima. L’Anima, finché è inconscia viene proiettata anzitutto sulla madre in quanto prima portatrice dell’immagine dell’Anima, in un secondo momento sulle donne che risvegliano i sentimenti nell’uomo; da qui la necessità dell’ oggettivare l’Anima. Quest’ultima perde il suo potere solo quando si riescono a gestire i processi inconsci che si riflettono nell’ Anima, diventando una funzione di relazione tra la coscienza e l’inconscio.

Gli effetti di tale integrazione portano la coscienza ad ampliarsi in quanto innumerevoli contenuti diventano coscienti; viene demolita l’influenza dell’ inconscio e prende vita una modificazione della personalità. L’ Anima, ora, perde la sua caratteristica “mana”  e chi l’assimila acquisisce forza, volontà e saggezza superiori, ma in questo modo ci si identifica con la figura del “mago”, un archetipo dell’uomo potente, del capotribù, da cui però ci si è costretti a differenziarsi in quanto inevitabilmente, ci si è identificati. La differenziazione dal “mago” e per la donna “grande madre”, avviene rinunciando a prevalere sull’ Anima, solo così cessa la dominanza/possessione del “mago” e accade che il “mana” appartiene in realtà al centro della personalità, quindi al Sè…Dal libro Rosso, Carl G. Jung

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